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Negli Stati Uniti d’America fino a ora ha incassato 16 milioni di dollari e ora tocca all’Italia capire il vero senso di Jobs, la pellicola che vede Ashton Kutcher interpretare il visionario fondatore della Apple, Steve Jobs.
Sono passati due anni dalla morte del fondatore dell’azienda di Cupertino, la più famosa al mondo: era il 5 ottobre del 2011 e la notizia colpì il mondo intero, scatenando, come al solito e com’è facile prevedere, due fazioni: la prima, quella riconoscente al genio di Jobs, pronta a idolatrare il suo passato e il suo ricordo, mentre quella bastian contraria che prontamente ha voluto rilanciare tutte le critiche fatte all’ex CEO. Ora, però, l’uscita della pellicola targata Joshua Michael Stern, prova a mettere tutti d’accordo e a mostrare oggettivamente il successo di Steve Jobs, inventore del primo Apple fino all’iPod e all’iPad.
L’intera narrazione parte dal 1971, anni in cui Jobs ebbe una fase da hippy, inficiata anche da un pesante ascolto, come dichiarato anche da Kutcher, di Bob Dylan: un percorso di circa trent’anni che si fermerà alle porte del 2000, prima dell’invenzione dell’iPod, che è storia contemporanea e nota ai più. Ad affiancare Kutcher c’è Dermot Mulroney, insieme con Josh Gad, nei panni di Steve Wozniak, e dopo l’anteprima dello scorso 25 gennaio al sundance Film Festival, il film è stato distribuito dallo scorso 16 agosto in America, incassando i 16 milioni di cui parlavamo prima, creando un introito di 4 milioni di dollari, essendone costato 12. Ora toccherà all’Italia rispondere e far capire quanto successo può avere la pellicola Jobs: la storia di come è nata la Apple colpirà anche i più sfegatati acquirenti di iPhone e iPad o rimarrà soltanto un film dedicato ai geek e nient’altro?
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